Tecniche di Nostradamus

venerdì 12 settembre 2014

Graal: storia e mito (16)

Nel simbolismo esoterico il fuoco ha sempre rappresentato l’appassionata aspirazione ad una conoscenza superiore che, squarciando il velo di maya (ignoranza), permette all’uomo di accedere alla piena consapevolezza di sé e della propria natura. Il fuoco brucia le scorie che tengono l’uomo avvolto nell’oscurità e lo fa risorgere, come la Fenice, nel mondo luminoso da cui proviene.

Già negli antichi miti greci, le sue virtù rigeneratrici vengono esaltate dal racconto di Demetra, che decide di rendere immortale il piccolo Demofoonte tenendolo alto sulle fiamme, per bruciare tutto ciò che in lui è mortale[1].

Sul piano biblico, il pensiero corre a Mosè che, salito sul monte Sinai (simbolo dell’ascesa spirituale)[2], si trova alle prese con un roveto ardente che non si consuma. Quando poi ridiscende, il suo volto è così raggiante da dover essere coperto con un velo (simbolo di uno stato superiore, non accessibile ai non iniziati). Impossibile non intravedere un percorso ascetico che, passando attraverso il fuoco interiore, conduce alla trasfigurazione del proprio Sé.

Mi si permetta di riservare un succinto accenno, lievemente fuori tema, anche al simbolismo del passaggio delle acque del Mar Rosso, dalla riva del mondo ostile dell’esistenza manifestata (Egitto) alla riva del mondo iniziatico che conduce alla terra “latte e miele” degli esseri eletti (terra promessa), e al simbolismo delle peripezie nel deserto, assimilabili alle prove che l’eroe (Mosè come Parzival) deve inevitabilmente affrontare prima dell’incontro con il suo destino.
A differenza di Parzival, però, a Mosè non viene concessa una seconda possibilità; egli muore ad un passo dal pieno raggiungimento del traguardo, alle porte dalla terra promessa, a causa di un precedente atto di disubbidienza nel colpire la roccia[3] per fare scaturire l’acqua[4].
Facendo un raffronto con la terminologia medioevale, potremmo dire che quella di Mosé, sacerdote già iniziato ai misteri egizi, sia stata una tra le più antiche ricerche del Graal mai raccontate in maniera dettagliata.

Nel mondo dell’arte, mi limito a citare la “Transverberazione di Santa Teresa d’Avila”, di Gian Lorenzo Bernini, nota anche come “Santa Teresa in fiamme”. La stessa Santa descrive la sua esperienza estatica narrando di un Angelo che la colpisce al cuore con una lancia dalla punta di fuoco.

Per finire (per necessità e non per assenza di esempi), vorrei semplicemente ricordare le fiamme riservate all’uomo peccatore da alcune religioni, tra le quali principalmente la religione cristiana: le fiamme dell’Inferno per coloro che, pur dovendo espiare le loro colpe, non hanno aspirazioni di salvezza; le fiamme del Purgatorio per coloro che accettano la pena come una forma di purificazione, necessaria per l’accesso al Paradiso.

In tutti i casi, si parla di un fuoco che non brucia, che purifica senza consumare. Esattamente come il fuoco attraverso il quale passano indenni la fenice e le salamandre.

Mettendo insieme le informazioni di cui disponiamo, possiamo adesso concludere che la contemporanea presenza della coppa e delle salamandre nel mosaico della Basilica di S. Lorenzo rende evidente l’intenzione dell’artista di rappresentare la leggenda del sacro calice, inteso come simbolo di un’esperienza spirituale che rigenera attraverso il fuoco della purificazione interiore. Quella particolare esperienza che, col nome di Graal, ci ha tenuti impegnati fino ad ora.

…segue…


[1] La trasformazione non riesce per via dell’intervento spaventato della madre del bambino, a dimostrazione che la stupidità e l’avversione umana hanno il sopravvento perfino sulla sapienza degli dei. E’ la stessa inconcludenza di Parzival, incapace di porre la fatidica domanda al suo primo incontro col Graal. E’ anche lo stesso errore che, come vedremo subito, compie Mosè di fronte a una delle prove che deve affrontare.
[2] Maimonide, il cui pensiero rappresenta il più alto livello raggiunto dalla speculazione ebraica medioevale, sostiene che le parole “ascesa” e “discesa” possono assumere tre significati. In relazione al terzo significato, al quale attribuisce natura allegorica, Maimonide dice: “E Mosè salì verso Dio si riferisce al terzo significato, e questo si aggiunge al fatto che Mosè salì in cima al monte”.
[3] Maimonide dice che la roccia è allegoria di Dio come causa prima di tutto ciò che esiste. Non sfugge, certamente, un possibile collegamento con l’archetipo della pietra/roccia alla quale si ispira anche la pietra del Graal o “lapsit exillis”.
[4] L’acqua è simbolo dell’elemento vitale; nel cristianesimo diventa l’acqua viva di Gesù, lo Spirito di verità che vivifica.

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