Tecniche di Nostradamus

martedì 26 agosto 2014

Graal: storia e mito (14)

Seguendo la traccia di un Graal inteso come esperienza spirituale, si pone il problema di definire il ruolo svolto dalla coppa, nella duplice veste di simbolo e di oggetto fisico.
La questione, apparentemente complessa, si semplifica se ripercorriamo velocemente l’evoluzione nel tempo della leggenda.
Da epoche immemorabili i popoli si trasmettono sotto varie forme e narrazioni il mistero della parola perduta, della riconciliazione dell’essere umano con il suo Sé superiore, dell’unione con il divino.
Tra il XII ed il XIII secolo questi racconti convergono sul mito del Graal, ricorrendo alla rappresentazione simbolica del piatto (Chrétien de Troyes), della pietra (Wolfram von Eschenbach), del vaso (Robert de Boron). Di fatto, spostano gradualmente l’accento da un percorso iniziatico pagano ad uno cristiano, nell’ambito del quale assume rilievo il “vaso” (coppa) che ha raccolto il sangue di Cristo.

La coppa dunque è soltanto una forma, l’ultima, assunta dalla versione cristiana della leggenda. In una specie di gioco enigmistico di associazione delle parole, la coppa evoca il sangue di Cristo, che viene versato per la salvezza dell’uomo, la quale consiste nella vita eterna ovvero, nei riti iniziatici, nella pienezza spirituale del Graal.

Per la verità, nessuno può escludere con assoluta certezza l’esistenza materiale del sacro calice. Ciò che conta nella nostra disamina, però, non è il calice in sé, ma il valore simbolico che esso assume come contenitore del sangue del Salvatore, nella sua forma reale dopo la crocifissione e come vino nel corso dell’ultima cena.
Al riguardo non deve sfuggire l’analoga tradizione, comune a molte culture e particolarmente accentuata in quella ebraica, che individua nel sangue la sede della vita. Perciò, il contenitore del sangue, la coppa, altro non rappresenterebbe se non il corpo umano, il “tempio dello Spirito”*, che viene sublimato dall’esperienza del Graal. Questa interpretazione del ruolo della coppa permetterebbe di trascendere le specificità della religione cristiana.

Da quanto detto, risulta chiaro che solo sul piano dei simboli il Graal cristiano può convivere con quello non cristiano; insistere sull’identificazione del Graal con la coppa “materiale” dell’ultima cena significherebbe negare la versione non cristiana della leggenda alla quale, anzi, si fa risalire l’origine del mito.
Il medesimo concetto vale anche all’interno della visione cristiana, che solo grazie al simbolismo ci evita di fare i conti con una moltitudine di coppe leggendarie, in competizione tra di loro: ad esempio, per citarne due, quella di Valencia e quella di Giuseppe di Arimatea del romanzo di Boron.

Similmente, non bisogna commettere l’errore di credere che l’evoluzione romanzata del Graal coincida con l’effettivo subentro del mito cristiano a quello pagano: Boron ha semplicemente formalizzato una vecchia tradizione. Infatti, il culto del sacro calice era diffuso da molto tempo prima della nascita dei racconti sul “Graal”, come è testimoniato da San Donato che, già nel VI secolo, accenna alla leggenda di San Lorenzo.

Le dottrine iniziatiche di salvezza (da non confondere con i riti religiosi) hanno sempre avuto contenuti diversi, mai esclusivi, in relazione al tempo, ai luoghi e alle tradizioni. I tre principali narratori di nostro riferimento segnano solo il momento della nascita letteraria delle vicende del Graal nelle sue varie versioni,  nell’ambito di un particolare clima maturato in un determinato contesto storico e culturale dell’Europa. E’ probabile che alla diffusione ed alla rielaborazione di questo clima abbiano concorso i Cavalieri Templari, importando in Occidente il loro contributo di conoscenza delle dottrine sapienziali mediorientali.

Diversamente da quanto viene comunemente fatto credere da un certo tipo di letteratura improvvisata, soprattutto recente, proprio nelle forme di convivenza dei vari aspetti del Graal e nelle loro diverse modalità evolutive risiede il vero mistero della leggenda, il cui carattere universale trova nel percorso iniziatico interiore il vero fattore comune a tutte le formulazioni. Al di fuori di questa visione prevalgono confusione e contraddizione, quando non vere e proprie speculazioni letterarie.

…segue---


* 1 Corinzi 6,19.

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